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SCOPRIRE GLI ERRORI

Immagine del redattore: Coffee TalksCoffee Talks

A volte mi dicono che sono troppo "critica" nel lavoro che faccio: ma è per forza sempre un male essere onesti e ammettere i propri sbagli?

Perché cercare di rispettare tempistiche, presentare lavori fatti bene, avere cura dei particolari deve essere considerata una cosa negativa?

Solitamente individuare "failures" prima che il prodotto raggiunga clienti e utenti dovrebbe essere visto come un atteggiamento positivo. In fin dei conti, meglio prima che dopo essere stato venduto, no? Cercare di anticipare le necessità e fornire una risposta adeguata non dovrebbe essere l'aspirazione per ogni tipo di attività che vogliamo essere redditizia? Essere onesti tra gli addetti ai lavori...


All'interno di molte aziende ci sono spesso delle contrizioni per aver scovato un qualche cosa che non va. Eppure, a parte il nostro orgoglio ferito di non esserci accorti noi stessi di questi inceppamenti, dovremmo essere solo contenti che la nostra chance di ricevere feedback negativi diminuisca.


In fin dei conti, se andiamo dal meccanico perché l'auto non va, la ritiriamo e ci schiantiamo in curva perché i freni non funzionano, ci arrabbiamo per un lavoro fatto male, o no? (Se sopravviviamo, ovvio...)

E allora perché ci da così fastidio sapere di queste mancanze? Non è meglio anticipare mosse e risposte?


Come già evidenziato, un po' è il nostro amor proprio ferito che spinge alla negazione della realtà (soprattutto se un altro dipartimento o ufficio si è accorto della falla al posto nostro, oppure la persona che paghiamo di meno!)


Altre volte, invece, c'è la tendenza a non affrontare i problemi, un po' perché è più comodo mettere la testa sotto la sabbia e far finta di nulla, magari sperando che le cose si risolvano da sole. D'altronde, lo facciamo nella nostra vita di tuti i giorni, perché al lavoro dovrebbe essere differente? In fin dei conti "problemi" vuol dire "azioni", quindi "decisioni da prendere", e questo richiede fatica e assunzione di responsabilità che non sempre siamo disposti a rischiare. Meglio far finta di nulla e convincerci ancora di più che quello che stiamo facendo sia la strada più giusta da seguire.


E un po' è anche perché non si sa come fare a risolvere le situazioni. Se poi a ciò aggiungiamo pure, come mi hanno fatto giustamente notare, che una volta che sollevi un problema, il problema diventa tuo, allora è inevitabile scansarsi!


Paradossalmente, il non sapere come fare o la paura di sbagliare ancora e peggio, sono a mio avviso gli unici motivi che potrebbero trovare una minima accettazione. Le cose che non si sanno, infatti, possono sempre essere imparate o trovare qualcuno che ci possa dare una mano.


Svogliati? Delusi? Scoraggiati? A-prescindere-negazionisti-dell'-evidenza?


La negazione della realtà, il non intraprendere azioni che rischiano di condurre a domande e decisioni, sono atteggiamenti che trovano terreno tra i tipici Yes-Man, persone che, anche se palesemente davanti ad una situazione compromettente, scelgono di seguire la linea tracciata dai propri responsabili, stando ben attenti a non contraddirli, per un ritorno personale.

E se per alcuni capi questa situazione è caldamente favorita perché coccola l'ego personale e diminuisce le possibilità di "scontro", per il benessere dell'azienda non sempre rappresenta una manna dal cielo. Anzi. Esempi delle conseguenze di questo comportamento si possono ritrovare anche nelle imprese più grandi e famose. (vd. Lezione giapponese: così gli Yes Men affossano le aziende - SOLE 24ORE)


E' vero che alcuni errori di produzione possono costare all'azienda la perdita di commesse o ingenti somme di denaro (pensiamo ad esempio a quando vengono ritirati lotti di articoli dal mercato, o la produzione di pezzi fallimentari), a volte rischiano addirittura di innescare un danno reputazionale, ma non è forse vero che ci costerebbe di più se accadesse qualcosa? (lasciamo fuori il discorso politico e d'accertamento della responsabilità).

Vero: fare e disfare è un ciclo che si alimenta da solo, ma ne vale davvero la pena? E' davvero una tecnica efficiente nel lungo periodo? Cosa comporta anche in termini di turnover di dipendenti? Di certo una situazione in cui si lavora male, senza una meta o con molta confusione non favorisce sicuramente la permanenza dei collaboratori, che cercheranno altrove la propria soddisfazione personale (e uno stipendio più sicuro!). E quindi, ci si ritrova di nuovo al punto di partenza, con persone da implementare e un sacco di tempo ed esperienza persi che potrebbero essere stati impiegati a fare altro.


Non sarebbe quindi più semplice affrontare i problemi?


Capita poi, a volte, che non siamo messi nelle condizioni per rilevare che ci sono problemi, tantomeno affrontarli.

Ammettiamolo: spesso si lavora con scarso accesso alle giuste risorse e con quel poco che si ha, traiamo deduzioni errate. Non è raro, infatti, che i nostri interlocutori ci forniscano informazioni parziali o poco definite, alla ricerca del perseguimento di obiettivi che cambiano continuamente. Con queste premesse è pressoché impossibile captare veramente l'esistenza di comportamenti errati. Possiamo però provare a circoscrivere eventuali effetti negativi giocando d'anticipo, "indagando" più a fondo, chiedendo al cliente di fornire informazioni più complete e giuste, stilando per lui obiettivi precisi e raggiungibili (vd SMART) prima di mettersi all'opera.


Seppur sembri banale e scontato quanto riportato fin'ora, se osserviamo con attenzione al mondo che ci circonda, possiamo rilevare tantissimi esempi delle conseguenze di azioni sbagliate. E nella maggior parte dei casi, l'accesso a fondi limitati non è la causa ma solo una comoda scusante.

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