Dire che le aziende chiudono è diventato quasi un mantra negli ultimi anni, quasi non ci potesse essere una soluzione, come se nulla potesse cambiare. Come se non si credesse più nel futuro.
E chiunque sarebbe sfiduciato vedendo il turn over di attività a cui si assiste ogni giorno. Se guardiamo poi al settore delle startup, lo scenario è pieno zeppo di esperimenti falliti...
Si da colpa alle tasse, alle lungaggini burocratiche, alla immobilizzazione delle risorse, all'euro e la crisi... Falli strutturali di un sistema che sta cadendo a pezzi e che, purtroppo, non agiscono da soli: l'ambiente interno dell'azienda gioca ruolo fondamentale anch'esso. Pur sapendo che ogni situazione è unica nel suo genere, si può fare una lista di fattori che aggravano lo scenario: scarsa capacità manageriale, mancanza di esperienza, imprevisti familiari... In questo colorito elenco ve n'è una in particolare che spicca per la sua incidenza anche se viene stupidamente sottovalutata: l' incapacità di ammettere che si sta facendo qualche errore.
Credere nel proprio sogno è la forza motrice per un'azienda, soprattutto se di nuova costituzione; è il motivo per cui ci si alza la mattina presto e si torna a casa la sera tardi, facendo non pochi sacrifici. Spesso ne siamo talmente presi e coinvolti a 360° che non riusciamo a percepire le leggere mutazioni del mercato o l'avanzare della concorrenza. Abbiamo un paraocchi sulla realtà e sul vero valore del nostro prodotto. Altre volte accade che gli elementi stessi di cui si compone il team siano impropriamente assortiti, almeno in uno specifico momento...
E poi ci sono anche distrazioni nello sviluppo di un prodotto, nelle caratteristiche di un servizio o, ancora peggio, di promozione che affiggono la reputazione dell'azienda e i suoi valori, facendoci giocare male la nostra chance di mercato.
Errori abbastanza importanti, quindi, che meriterebbero una valutazione seria e ponderata per avanzare serenamente con la propria attività. Puntigli e dispiaceri che ci fanno gettare alle ortiche progetti che sono sostanzialmente buoni, ma che apparentemente non soddisfano la nostra clientela. E il nostro pubblico non ci da la possibilità, nè il tempo di spiegarci. Nè, tanto meno, ha voglia di capire.
E' difficile ammettere di aver sbagliato, dire che quel progetto che portiamo avanti con tanto amore e dedizione, quello su cui abbiamo investito le nostre risorse e ci siamo esposti personalmente in realtà ha qualche falla. Magari risolvibile, magari decisiva ma bisogna saperlo riconoscere in tempo, anche se questo comporta dover fare qualche passo indietro e cominciare da capo.
Difficile combattere contro il nostro orgoglio ferito o sopportare quel collega che ti sorride pensando "Te lo avevo detto!". Difficilissimo. Soprattutto se siamo stati noi ad insistere nell'intraprendere una determinata strada.
Il rapporto orgoglio/obiettività è condizionato dalla nostra volontà di emergere o di concludere rapidamente e bene il progetto che si sta seguendo. Dobbiamo stare attenti a quanto di noi c'è dietro alle scelte compiute e cercare di mantenere l'equilibrio tra razionalità e desiderio. Ne possiamo uscire con l'orgoglio un po' ferito, ma sicuramente potremmo aver salvato il futuro della nostra attività.
E non deve esserci colpa per nessuno. Si dovrebbe sapere che chi lavora sbaglia: è chi non lavora che non sbaglierà mai. E mai imparerà. Ammettere che c'è un errore non dovrebbe essere visto come segno di debolezza, ma, anzi, un punto di forza per il lavoro in squadra, un'individuazione di un punto negativo prima che il prodotto/servizio raggiunga il mercato. Praticamente il risultato di un'accurata analisi qualitativa.
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