LA COMUNICAZIONE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS (E FORSE ANCHE PRIMA)
- Coffee Talks
- 9 mar 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Se possiamo trarre qualche insegnamento dal Covid-19, sicuramente possiamo parlare dell’informazione e dell’uso che ne è stato fatto.
Il terrorismo mediatico che ha avvolto questa vicenda fin dai primi albori, non ha potuto evitare d’influenzare i comportamenti e le scelte che ne sono susseguite.

Ricordo benissimo l’inizio in crescendo di post (NON articoli: POST!) di testate “autorevoli” che fornivano notizie inconcludenti, contraddittorie, sotto-forma di bollettino di guerra. Un crescendo di ansia e concitazione da fare invidia al Manzoni dell’Addio monti. Anche solo poche parole, un paio di righe sconclusionate ma bisognava incalzare. Buttare benzina sul fuoco, tutti a caccia di uno scoop, o, meglio, di una visualizzazione in più, come una persona insicura alle prese con le foto su Instagram. Una corsa al click-bait, come lavoratori a cottimo di testate incapaci di fornire contenuti di valore.
Un bollettino di guerra, aggiornato ogni 5-10 minuti, a guardare crescere il numero di ricoverati come uno scommettitore ad una corsa di cavalli.
E tutto perché si doveva essere i primi. Pure dispiaciuti se veniva smentita la presenza di pazienti infetti. Accidenti abbiamo perso lo scoop!
Ma è ciò che le persone davvero hanno bisogno? Questa morbosità comunicativa è davvero utile o, invece, fa passare in sordina gli elementi più importanti?
Certo: ora pare non ci siano altre notizie. Non si vanno a cercare altre notizie: è più comodo così.
Sicuramente è un sacrosanto diritto essere aggiornati sull’evolversi della situazione: ma non vale la pena fare un articolo solo a mezza giornata e uno a fine giornata con un riassunto degli aggiornamenti e basta?
L'effetto di una comunicazione martellante come quella che è stata fatta fin dall’inizio per il Covid 19 è quello di fornire un servizio antitetico: la disinformazione.
Non si sa a quale sia la verità vera, la fonte autorevole a cui credere; i lettori non trovano risposte e, peggiore di tutte (fake news a parte) sono già stufi del tema. E’ troppo.
L’informazione è avrebbe dovuto portare i cittadini alla conoscenza di un pericolo reale, spiegarne la forma, indicare procedure e soluzioni. E si, anche confortare. Ma in un’epoca oscura come quella che stiamo vivendo, il terrorismo assume anche questa forma. Soprattutto questa forma oserei dire.
Un atteggiamento più responsabile (ed etico) sarebbe stato quello di raccogliere le informazioni, verificarle e solo in seguito pubblicarle, senza fretta, senza ansia, non per essere i primi, ma per essere utili. Informarsi bene sulla situazione, dare spazio agli esperti, fornire elementi chiari ed esaurenti sul tema, argomentare... Insomma, fornire al lettore gli strumenti ed i dati necessari per farsi una propria opinione. O, forse, è proprio di questo che si ha paura?
La Parola abbiamo detto più volte che è un’arma potente; chi lo dice e come lo si dice può avere effetti importanti. Per questo è necessario scegliere bene le parole, i toni, ma anche i tempi.
Per questo la Parola, passata la “corsa al Cornavirus”, deve tornare ad avere un punto centrale: non solo guidare le persone al ritorno alla normalità, ma farsi portabandiera del cambiamento: creare fiducia e (soprattutto in questo caso) senso di appartenenza e orgoglio nazionale per il risollevamento dei settori danneggiati e della nostra reputazione.
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