Se definiamo il design come progettazione, ossia la capacità di trovare una soluzione pratica ad un problema, ci è facile intuire che il suo campo di applicazione, seppur con varie sfumature, può essere molto vasto. Il design è una disciplina che comprende diversi aspetti e abbraccia molteplici settori: si spazia dal design industriale, al design di prodotto, della comunicazione, al design di progetto e dell’esperienza vissuta... e, quindi, anche il design di pensiero.
Il design è caratterizzato da funzionalità e semplicità. Si tende a dare ordine e struttura, indipendentemente dalla tipologia di situazioni per le quali viene richiamato. Una definizione di linee e curve che non determinano solo l’estetica di un prodotto o la forza di una marca, ma dei framework grazie ai quali è possibile investigare, organizzare e definire idee, soluzioni, modalità d’azione…
Negli ultimi anni, il design del pensiero è diventato sempre più popolare, con la diffusione di metodologie come Agile, Design thinking, Waterfall, Sprint, Lean business model…
Questi modelli di pensiero sono entrati in maniera dirompente nei motori di ricerca; sugli scaffali delle librerie si accumulano nuove pubblicazioni e teorie per guidare piani d'azione e supportare organizzazioni ed individui nelle sfide che il processo di crescita ed evoluzione pone davanti.
Di fatto, anche se con cautela e diffidenza (quella tipica dell’abbracciare il nuovo e l’inesplorato) si è dovuto inevitabilmente accettare che i modelli di business “tradizionali”, le metodologie investigative e tipologie di gestione di “uso comune” non fossero più sufficienti ad affrontare il mercato moderno, dinamico e innovativo, caratterizzato da nuove figure professionali, una trasformazione dei classici paradigmi gerarchici a favore di strutture più snelle e resilienti e dove la creatività e lo sviluppo di idee sono tornati ad occupare un ruolo centrale.
In questa moltitudine di fautori di micro e macro cambiamenti, l’adozione di azioni logiche e convalidate sembrano essere l’unica arma efficace, in grado di accompagnare le imprese, le istituzioni, le persone attraverso questo processo evolutivo.
Che sia più giusto definirli mindset o modelli poco importa. Ciò che è rilevante è la loro capacità di aiutare e supportare processi di innovazione, strategie di business e gestione aziendale. Tali Framework possono essere classificati in base alle finalità per le quali vengono impiegati.
PER INVESTIGARE IDEE e IMPOSTARE IL LAVORO O MODELLO DI BUSINESS DI STARTUP
Prima di investire tempo e denaro nell’attuazione di un progetto di cui non possiamo essere sicuri dell’esito, sarebbe meglio effettuare una valutazione a priori della bontà dell’idea che vogliamo sviluppare e, conseguentemente, mantenere anche una certa flessibilità per quanto riguarda prodotto e modello di business.
Siamo, quindi, chiamati ad adottare una metodologia che ci consenta di avere le risposte che stiamo cercando in tempi rapidi e senza disperdere risorse inutilmente.
La metodologia Lean model indica un approccio basato sulla minimizzazione dei tempi di sviluppo e sulla massimizzazione del valore per il cliente. Si concentra sull'eliminazione degli sprechi e sull'ottimizzazione dei processi aziendali, nonché sulla rapidità nella sperimentazione di nuove idee. Abbraccia la filosofia less is more e incoraggia la rapida consegna di prodotti minimi ma funzionali al fine di ottenere il feedback degli utenti il più presto possibile, investendo il minimo indispensabili in termini di tempo, energie e denaro.
Proprio per la sua natura adattiva e ad implementazione rapida, il lean model è spesso utilizzato in ambito startup e innovazione, essendo questi ambienti caratterizzati da forte incertezza, che non permette previsioni attendibili (a causa della loro natura di novità, mancanza di dati, scarsa conoscenza del mercato…). Essendo un ambiente molto fragile e mutevole, si rendono necessari processi resilienti, progredendo non per obiettivi a lungo termine ma, piuttosto, misurando passo a passo ogni azione. Soprattutto nelle fasi iniziali di validazione d’idee, dove diventa fondamentale poter effettuare esperimenti ed aggiustamenti per individuare le soluzioni più congeniali, emerge il bisogno di modifiche e rivalutazioni costanti (ovviamente fatto salvo alcuni elementi fondanti dell’idea).
Ecco che allora nascono strumenti come MVP (Minimum Value Product) che hanno il solo scopo di fornire un look and feel del progetto che si vuole promuovere per iniziare a testare il mercato e, soprattutto, la risposta di utenti e potenziali investitori, per validare l’idea e fare una valutazione oggettiva sul cammino che stiamo intraprendendo.
Eric Reies, startupper statunitense che diede il via a questa metodologia (con la pubblicazione del libro The lean-startup – Partire leggeri la vers. italiana), descrive un modello composto da 3 punti (Build-Measure-Learn model):
Measure: dai test con MVP vengono raccolti i dati
Learn: dall'apprendimento derivano idee per sviluppare il prodotto
Build: viene ulteriormente sviluppato il prodotto
Nello sviluppare la sua idea, Reies si è basato sul metodo Lean manufacturing, introdotto da Toyota negli anni ‘70, che si focalizza sulla eliminazione degli sprechi durante il processo di produzione, così da poter incrementare, contemporaneamente, anche l'efficienza. Per questo motivo il Lean model può essere considerato anche una tipologia d’approccio adatta allo sviluppo di prodotti: si focalizza maggiormente su un’iterazione che sul design lineare, permettendo a designer e sviluppatori di collaborare fianco a fianco per tutto il processo, già dalla creazione d’idea.
Il Lean model si basa su 5 principi:
È adatto a qualsiasi tipo di business;
Essere imprenditori vuol dire essere manager: oltre al prodotto o servizio c’è un’azienda che bisogna essere in grado di gestire, solitamente in condizioni di estrema incertezza;
Continuo apprendimento: il business deve essere sostenibile nel tempo e quindi avere sempre uno sguardo attento ai cambiamenti e nuovi trend;
Ciclo: creazione, misurazione, apprendimento;
Obiettivi basati sull’innovazione.
RICERCA DI SOLUZIONI (CREATIVE)
Il Design thinking (o pensiero progettuale) è una disciplina o, oer meglio dire, uno state of mind, che viene impiegato per lo sviluppo di soluzioni creative in risposta a problemi complessi, tipici ma non esclusivi del campo aziendale. Incoraggia a iniziare partendo dall’utente, sui suoi bisogni prima ancora di concentrarsi sul cercare una soluzione.
Questo metodo viene utilizzato soprattutto per lo sviluppo e il design del prodotto, per investigare la loro efficacia puntando ad alimentare un miglioramento constante degli stessi e confrontandosi con i vari stakeholders coinvolti (finanziatori, utenti, retailer…) per cercare di elaborare una soluzione che soddisfi tutti, in un’ottica di approccio democratico.
La metodologia DT permette di avvicinarsi all’utente, favorire la crescita e la generazione di nuove idee, e, soprattutto consente di non dover attendere la fine di un progetto per poterne testare l'efficacia proprio in virtù del suo carattere circolare: la conclusione di una fase si trasforma nell’inizio della successiva, in un loop infinito, votato al miglioramento costante. Essendo il Design thinking un processo continuo e iterativo, non è raro il verificarsi di ritorni a fasi precedenti in base ai risultati ottenuti. L'obiettivo finale è quello di sviluppare soluzioni innovative che soddisfino le esigenze degli utenti in modo efficace ed efficiente, identificando per tempo eventuali intoppi e porvi rimedio.
Il Design thinking si compone da cinque fasi principali, in cui l’utente non cessa di assumere un ruolo centrale:
- Empathize (Empatizzare): In questa fase, si cerca di comprendere le esigenze, i desideri e le preoccupazioni degli utenti finali attraverso la raccolta di dati qualitativi, come interviste e osservazioni dirette.
- Define (Definire): In questa fase, si riassume e si sintetizza ciò che si è appreso nella fase precedente per identificare il problema principale che si vuole risolvere.
- Ideate (Ideare): In questa fase, si generano idee innovative per affrontare il problema identificato nella fase precedente. Ciò può includere la creazione di mappe concettuali, il brainstorming di gruppo e l'utilizzo di tecniche di generazione di idee come il "lancio di dadi".
- Prototype (Prototipare): In questa fase, si creano prototipi delle soluzioni ideate per testarle con gli utenti e raccogliere feedback. I prototipi possono essere fisici o digitali, a seconda del tipo di soluzione che si sta sviluppando.
- Test (Testare): In questa fase, si testano i prototipi con gli utenti per raccogliere ulteriori feedback e informazioni. In base ai risultati del test, si può decidere di modificare il prototipo o di passare allo sviluppo della soluzione finale.
Con il dilagare dell’avanzamento tecnologico e la ricerca spasmodica di proposte efficaci e contraddistinguenti, un mindset come quello promosso dal design thinking (ossia un approccio creativo e user-centered, basato sulla collaborazione interdisciplinare e sulla sperimentazione) trova terreno fertile per individuare soluzioni innovative. Per questo motivo possiamo, quindi, definire il design thinking anche come un approccio all’innovazione che si basa su 3 principi:
- Un’attitudine orientata al problem solving
- Design Centrato sull’utente (HCD)
- Approccio interattivo (costante comunicazione e co-partecipazione degli stakeholder).
PER LO SVILUPPO SOFTWARE E PROJECT MANAGEMENT
Agile è un framework di pensiero che sottolinea l'importanza di rispondere rapidamente al cambiamento. È un modo di fare le cose che favorisce i rilasci piccoli e frequenti rispetto a quelli grandi e poco frequenti. L'obiettivo è avere cicli di feedback più veloci, per sondare l’opinione degli utenti su prodotti e servizi in tempo reale e adeguarsi di conseguenza.
Parola inflazionata, spesso storpiata del suo significato originario per adattarsi a situazioni in cui si richiedono resilienza e velocità, la metodologia Agile nasce nel campo dell’informatica e dello sviluppo di software per diffondersi a macchia d’olio, ora, anche nel campo della gestione aziendale e del project management in virtù delle sue caratteristiche.
La metodologia Agile si basa
sulla divisione del progetto in piccole parti chiamate cicli di vita, ognuno dei quali produce un risultato tangibile,
sulla collaborazione del team e
sulla comunicazione aperta e trasparente tra i vari membri e dipartimenti.
Di fatto, è un approccio caratterizzato da iterazioni rapide e dalla flessibilità, dall'adattamento continuo alle esigenze di un mondo volubile e dinamico. La metodologia Agile, come il design thinking, mira all’individuazione rapida di eventuali criticità, per un intervento tempestivo e preventivo alla risoluzione delle stesse. È un metodo che spinge a lavorare per obiettivi (o, meglio, micro-obiettivi) che mantengono i team focalizzati su specifiche priorità, ridefinite di volta in volta.
Questa esigenza ha portato allo sviluppo di altri strumenti di lavoro come lo SPRINT (sessioni brevi, interattive e spesso anche multidisciplinari) che permette di lavorare con gruppi ristretti, in un intervallo di tempo predefinito, focalizzandosi specificatamente su un particolare problema o obiettivo. Questo favorisce le iterazioni “agili”, in grado di apportare modifiche in modo veloce e adeguarsi alle mutevoli esigenze del cliente.
Altro strumento è lo SCRUM, un metodo di controllo che si basa su tre pilastri:
trasparenza: tutti gli stakeholder hanno una visione aggiornata e completa di tutti gli elementi del progetto e ne vengono informati costantemente;
ispezione: feedback, riunioni costanti per valutare l’andamento e monitorare l’attività;
adattamento: come parte della metodologia agile, l’acquisizione di nuove funzionalità durante lo sviluppo del progetto possono portare alla modifica o integrazione di alcune parti.
Nella metodologia Agile, largo uso trovano anche il KANBAN (letteralmente “carta segnale”) che si basa sulla suddivisione degli obiettivi in vari task, per creare come un “percorso” di priorità dei compiti da svolgere e monitorare lo stato di avanzamento degli stessi nel tempo.
Lo sminuzzamento in piccole mansioni favorisce il completamento di un passo alla volta, a scapito dello sviluppo in parallelo di più attività.
Il Kanban si riferisce esclusivamente sui compiti da svolgere e può essere utilizzato contestualmente ad altri strumenti Agile.
Come per l’industria dei software, così anche per il Project management, la metodologia Agile si contrappone al sistema classico Waterfall, che prevede la suddivisione del lavoro in fasi consequenziali, per uno sviluppo lineare dello stesso. Proprio come succede per le cascate, dove l’acqua in eccesso del bacino soprastante alimenta la riserva posta più a valle, una volta finita la fase precedente, si passa a quella successiva, non prima, demandando testing e verifica solo a conclusione, quando sono state completate le task precedenti. Un metodo, il Waterfall, che permette, quindi, di priorizzare dei task a svantaggio di controllo e efficienza. Infatti, in caso di intoppi e malfunzionamenti li si scoprirebbe troppo tardi, rendendo dispendioso porvi rimedio.
Il metodo Waterfall è un modello considerato obsoleto per lo sviluppo del prodotto: può rendere difficile il lancio rapido di nuove funzionalità e, persino, minare la sua capacità di portarle a termine senza prima dover spendere molto tempo in riprogettazioni e rielaborazioni. Essendo focalizzata solo su un passaggio o componente molto specifico nel processo, questa metodologia rende quasi impossibile l’interazione rapida richiesta dal mondo di oggi.
La metodologia Agile, invece, è fautrice di uno sviluppo incrementale, basato su cicli di sviluppo brevi che permettono di rimanere focalizzati e ottenere feedback rapidi.
Come accennato all’inizio, la metodologia Agile la ritroviamo oggi in tutte le salse, spesso usata come sinonimo di un metodo di sviluppo snello e reattivo. In realtà ha una sua origine specifica, definita come movimento con tanto di manifesto di presentazione, pubblicato nel 2001 e firmato dai suoi evangelist.
Il Manifesto Agile è stato definito come una “dichiarazione formale dei quattro valori chiave e dei dodici principi per un approccio allo sviluppo del software iterativo e incentrato sulle persone”.
I 4 valori chiave possono essere così riassunti:
Gli individui e le interazioni più che processi e strumenti;
Software funzionante più che documentazione esaustiva;
Collaborazione col cliente più che negoziazione dei contratti;
Rispondere al cambiamento più che seguire un piano.
Da questi valori si sviluppano i 12 principi:
La nostra massima priorità è soddisfare il cliente attraverso il rilascio anticipato e continuo di software di valore.
I cambiamenti dei requisiti sono bene accetti, anche a stadi avanzati dello sviluppo. I processi Agile sfruttano il cambiamento come vantaggio competitivo per il cliente.
Consegnare un software funzionante a cadenze ravvicinate, da un paio di settimane a un paio di mesi, con una preferenza per l’intervallo più breve.
Le persone del business e gli sviluppatori devono lavorare insieme quotidianamente per tutta la durata del progetto.
Costruire progetti intorno a persone motivate, offrire loro l’ambiente ed il supporto di cui hanno bisogno e fidarsi della loro capacità di portare a compimento il lavoro.
Il metodo più efficiente ed efficace di veicolare le informazioni verso e all’interno di un team di sviluppo è la conversazione faccia a faccia.
Il software funzionante è la principale misura dell’avanzamento del lavoro.
I processi Agile promuovono lo sviluppo sostenibile. Gli sponsor, gli sviluppatori e gli utenti dovrebbero essere in grado di mantenere un ritmo costante a tempo indeterminato.
L’attenzione continua verso l’eccellenza tecnica e la buona progettazione aumenta l’agilità.
La semplicità – cioè l’arte di massimizzare la quantità di lavoro non fatto – è essenziale.
Le architetture, i requisiti e le progettazioni migliori vengono fuori dai team auto-organizzati.
Ad intervalli regolari, il team riflette su come diventare più efficace e poi regola e modifica il suo comportamento di conseguenza.
Come si vede da questa lunga seppur breve analisi sulle metodologie in voga ora, esistono diversi mindset, framework, metodologie… che possiamo scegliere di utilizzare, a seconda dello scopo che vogliamo conseguire. Tutte però, se le osserviamo bene, hanno alcune cose in comune:
determinazione degli obiettivi /scopi
la centralità dell’utente e della persona
un ciclo riconducibile ad ANTICIPAZIONE - INTERAZIONE - APPRENDIMENTO
Anticipazione: grazie agli esperimenti si inizia a conoscere ed incontrare il potenziale cliente;
Iterazione: sulla base dei risultati degli esperimenti si continua a migliorare il prodotto, rendendolo sempre più conforme alle esigenze emerse (e, quindi, garantendone il buon esito);
Apprendimento: si impara mentre si fa.
Senza alcuna presunzione, possiamo tranquillamente osservare come nella vita di tutti i giorni queste metodologie si mischiano e si supportano. Il punto è che accettando di affrontare le situazioni con un approccio logico, strutturato e razionale, usando dati e metodo è possibile raggiungere dei risultati inaspettati, che consentono di controllare e limitare eventuali set-back e sfruttare al massimo le proprie possibilità. Il design di pensiero è, inoltre, un buon metodo per riuscire ad allineare tutti i protagonisti sull’implementazione, acquisire dati di prima mano e tenere sotto controllo elementi di forza e di debolezza, riuscendo al contempo a dare il meglio di sé.
In un mondo in cui il disturbo d’informazioni è incessante, riuscire a definire cosa è veramente rilevante e come impiegare tali dati permette senza dubbio di acquisire vantaggi competitivi che ci permettono di posizionarci favorevolmente sul mercato e di anticipare le mosse dei nostri competitor.
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